Credere che la mafia sia qualcosa di estraneo al nostro piccolo mondo è un errore. Lo testimoniano la vita e l’opera, anzi, le opere di due personalità che nel quotidiano si spendono per gli altri: Don Antonio Coluccia, per tutti, “il prete eroe” che ogni giorno, tra le borgate della periferia romana, Tor Bella Monaca, Quarticciolo, San Basilio e Corviale, si muove in mezzo agli “ultimi” prodigandosi senza compromessi né soste, in un percorso di indefessa cittadinanza evangelica attiva e, in altro ambito, il giudice Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, esperto in ecomafie.
L’aula gamma del Salutati il 19 gennaio 2023 ospita questi eroi contemporanei in un incontro organizzato dalle docenti responsabili dei percorsi di Educazione civica, le prof.sse Iolanda Cosentino e Rossella Grande in collaborazione con l’Associazione Rotary Club “Marino Marini” rappresentata da Luicia Ghieri. Introduce la conferenza la dirigente scolastica, dott.ssa Marzia Andreoni, alla presenza del prefetto della provincia di Pistoia, Licia Donatella Messina, il dott. Gaetaneo di Mauro, dirigente del Commissariato di Polizia di Montecatini Terme, l’assessore all’Istruzione del Comune di Montecatini, alcune classi e un gruppo di insegnanti della scuola.
Nel presentare l’incontro, la preside ricorda che il Liceo è da sempre impegnato in vari progetti didattico-educativi volti a promuovere nelle classi l’educazione alla legalità grazie ad un team di docenti eccellenti che nella pratica di tutti i giorni applicano nelle classi i principi etici ispirativi alla Carta Costituzionale. I fenomeni mafiosi, sostiene la dirigente, non sono né una piaga risolta – nonostante il recente successo da parte dei Ros nel catturare uno dei più influenti boss di Cosa Nostra, latitante da trent’anni- né un fenomeno esotico lontano dal mondo dei giovani che si affacciano alla vita con progetti di studio e di lavoro ambiziosi.
I ragazzi -ribadisce la preside- devono reagire attivamente impegnandosi affinché le “pratiche mafiose” divengano estranee rispetto al loro quotidiano nel quale potrebbero sperimentare la consapevole (e a volte scomoda) abitudine alla lealtà, alla trasparenza, al rispetto verso l’altro da sé. Le aule scolastiche, sostiene Andreoni, dovrebbero così rappresentare un’occasione per cimentarsi in questo esercizio civico che si fonda sulla consuetudine all’onestà e all’apertura empatica verso l’altro. Ai giovani spetta l’arduo compito di cambiare la “narrazione negativa” legata ai luoghi della mafia, operazione tutt’altro che funambolica se concepita all’interno di un disegno armonico nel quale scuola, famiglia e società operano in sinergia condividendo modalità e intenti. La preside conclude definendo la frontiera dei ragazzi un “presidio della legalità” che si concreta mediante tutte le piccole azioni oneste, spese nel quotidiano. A seguire, nel suo intervento, il prefetto Messina evidenzia come la settimana corrente sia, per l’Italia tutta, speciale, e lei, da siciliana, sente in modo ancora più intenso questo successo dato che, fin da ragazzina, ha sentito gravare “come un macigno il peso della piovra mafiosa”; esprime inoltre la gioia di poter condividere l’incontro con il prete coraggioso, in mezzo a tanti ragazzi che da lui possono apprendere come la tenacia, l’impegno e la lealtà siano strumenti cardine per debellare i fenomeni connessi alla malavita mafiosa.
Successivamente, la prof.ssa Cosentino presenta don Antonio Coluccia e la sua strenua difesa evangelica dei bisognosi in nome non solo dell’etica cristiano-cattolica, ma di principi civili universalmente condivisibili. Per don Antonio Coluccia indispensabile sarà quindi ”prendere coscienza della propria vocazione battesimale e mettersi al servizio degli altri come comunità cristiana”, incoraggiando la gente onesta affinché abbia il coraggio di resistere anche nei quartieri considerati a rischio. Da ben 25 anni Don Antonio Coluccia, sacerdote 47enne originario di Specchia, nella provincia di Lecce, si schiera contro la criminalità organizzata e lo spaccio di droghe nel quartiere romano di San Basilio- una sorta di Gomorra romana-accogliendo e aiutando gratuitamente giovani con problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti che spesso divengono vittime e carnefici nei gangli di un’organizzazione capillarmente diffusa di cui spesso ignorano intenti e sostanziosi guadagni illeciti. Abita in una proprietà confiscata al boss Salvatore Nicitra, un ex capo appartenente alla tristemente celebre Banda della Magliana.
La sua è una vita blindata, da anni sotto scorta, si muove nella consapevolezza che la sua missione prevede anche questo, la rinuncia ad un’esistenza di quiete ascetica in nome di un impegno che non conosce soste ma solo intervalli, momenti nei quali, come oggi, si trasferisce altrove per avvicinare giovani ragazzi e condividere non parole persuasive ma fatti scomodi, storie spesso tragiche di donne, di uomini, di ragazzini destinati ad un fallimento sociale quasi certo se non vi fosse chi, a questo, pervicacemente si oppone. Ai ragazzi esposti al rischio di avere contatti con il mondo della criminalità, il prete eroe propone alternative concrete di impegno e condivisione sociale (luoghi di incontro, di dialogo, palestre, associazioni sportive) che possano sopperire al “vuoto esistenziale” che si nutre di ignoranza, miti fallaci, facili guadagni, auto di lusso e sostanze stupefacenti.
Margherita Bindi, ex alunna del Liceo Salutati, chiede a don Antonio dei suoi trascorsi e dei viaggi come volontario in Bosnia; lui risponde raccontando di sé, allora giovane operaio salentino, del suo lontano passato in cui, fidanzato per sette anni con una ragazza, era impegnato come presidente di un’associazione di volontariato, ricorda di aver preso parte alla “missione Arcobaleno” in Albania e dell’ incontro con padre Giovanni, “un piccolo uomo”, che dopo aver dato ad Antonio una pacca sulle spalle e una frase “Dio ti sta chiamando”, lo indusse a intraprendere la strada vocazionale del sacerdozio a servizio della comunità cattolica. Durante questi anni don Antonio ha provato di tutto, ha conosciuto la vita degli indigenti, ha sperimentato la tragicità della vita apolide, il dormire per strada, ha indossato i panni di quelli che non contano niente, ha “abitato la vita dell’altro da sé”.
Per il prete eroe “compromettersi” è metterci la faccia, credere in ciò che si sta facendo, accogliere l’altro per ciò che è, è difendere il proprio senso di responsabilità, dire e praticare il motto di Don Milani, “I care”, fare testimonianza attiva. Matteo, alunno del Liceo e caporedattore del giornalino scolastico “Il Coluccino”, chiede infine a don Antonio quando ha capito che le sue azioni stavano portando qualcosa di veramente utile, che stavano producendo, nel quartiere di san Basilio, un concreto cambiamento. Il prete risponde che nessuno si salva da solo, nessuno è Mazinga Zeta e che i cambiamenti non sono mai radicali e repentini, ma il frutto di una lenta ma tenace alchimia fatta di impegno, lucidità, perseveranza e passione.
Successivamente interviene il giudice procuratore Roberto Pennisi, da anni impegnato in prima liea a contrastare i fenomeni legati alle consorterie criminali di stampo mafioso che dopo aver ringraziato la Dirigente Andreoni e il prefetto Messina , figure che, seppure con ruoli diversi, rappresentano presidi statali nel territorio, ricorda i tanti offesi o uccisi, vittime cadute nelle losche operazioni malavitose, tutte persone che si sono compromesse, che hanno rischiato, che non si sono risparmiate. L’arresto di Matteo Messina Denaro- sostiene Pennisi- ha rappresentato un successo dello Stato “senza se e senza ma”, catturato dopo trent’anni perché era un capo di Cosa Nostra, una delle associazioni criminali più longeve nel territorio italiano impegnata in azioni di spaccio, riciclaggio, speculazioni, azioni violente o omertose. Tutto si fonde e si confonde nell’accumulare denaro che è fine a se stesso.
Leonardo Sciascia, ricorda Pennisi, sosteneva che “il potere non è dove sembra che sia, è altrove” come la mafia che è ovunque ma sempre “altrove”, s’insinua infatti nell’altro da sé mascherandosi, fondendosi e confondendosi all’interno di sistemi apparentemente specchiati, eticamente non compromessi. Oggi il crimine sta trasformando la propria cultura e il proprio modo di presentarsi; i mafiosi di oggi sono professionisti, imprenditori, persone apparentemente comuni, oneste: per questo il compito delle forze di polizia impegnate nell’intercettare e isolare i criminali collusi con le organizzazioni mafiose è più arduo e complesso.
Il più grande nemico della mafia è la cultura, la cultura che nasce nella scuola, un potenziale bacino esemplare per formare i giovani cittadini consapevoli, uno strumento potente che può annientare i presidi mafiosi anche nelle morfologie multiformi e camaleontiche che l’arguzia dei malavitosi riesce a concepire.
Nella seconda parte dell’articolo 3 della Carta Costituzionale si legge che allo Stato spetta il compito di “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”; questo è ciò che si impegnano a realizzare i “pezzi” dello stato qui rappresentati: la scuola, le istituzioni, la società civile.
Non sarà un cambiamento né facile, né repentino ma sarà un cambiamento.
“Pochi piccoli passi” verso la civiltà, l’onestà e il mutuo rispetto.