"Il Giorno della Memoria nasce dal desiderio di formare la nostra coscienza storica, al
fine di combattere, quali cittadini attivi e responsabili, la convinzione che basti un
asettico “mai più” ripetuto distrattamente per esorcizzare i fantasmi di un passato
inumano. Quest'anno, il titolo della commemorazione è stato “Voi che vivete sicuri.
Accoglienza e respingimenti ieri e oggi”: attraverso la trattazione di temi così attuali,
l'iniziativa ha mantenuto la promessa di essere un incontro che legge il passato, educa
il presente e coltiva il futuro.
I circa 8'000 studenti della Toscana che hanno riempito il Mandela Forum di Firenze
sono stati accolti dalla musica dell'Orchestra Multietnica di Arezzo mentre su uno
schermo venivano proiettate immagini di repertorio dell'inferno della Shoah,
giustapposte a scenari che purtroppo ben conosciamo: campi profughi, viaggi della
speranza su barconi e scene di ordinaria discriminazione.
Sono situazioni nelle quali viene negata l'umanità di milioni di individui, eletti a capri
espiatori e affossati dai peggiori pregiudizi. Simili immagini hanno acquistato una carica
emotiva ancora maggiore poiché accompagnate dalla lettura della poesia Se Questo è
un Uomo di Primo Levi.
Ugo Caffaz, Direttore Generale della Direzione “Politiche formative Beni e Attività
Culturali” della Regione Toscana e, in questa veste, responsabile di tutte le iniziative del
Giorno della Memoria, ha così introdotto il fil rouge di riflessione fra 1945 e 2016: il tema
dell'indifferenza.
“I meccanismi che uniscono queste due tragedie umanitarie sono sempre gli stessi,
così come il poter credere che riguardino sempre gli altri”, ha affermato denunciando
la nascita della “nuova fossa comune del Mar Mediterraneo”.
Salutando i ragazzi, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha ricordato i 311 ebrei
deportati dalla sua città, di cui 27 bambini. A proposito della commemorazione, egli ha
affermato con forza che “non c'è umanità senza libertà e non c'è libertà senza memoria.”
Il suo entusiasmo è stato condiviso dalla Vicepresidente della Regione Monica Barni, il
cui monito è stato di “non imparare a convivere con l'orrore.”
Alle ore 9:30, giovani voci e pianoforte dell'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
hanno eseguito delle arie tratte dall'opera L'Imperatore di Atlantide di Viktor Ullmann,
composta su libretto di Peter Kien nel 1943 nel campo di concentramento di Terezin: L'aria
della morte e L'aria del tamburo, attraverso le quali viene raccontata la spietatezza del
tiranno Overall, anglicismo per “über alles” ed evidente caricatura del Führer.
Giovanni Gozzini, docente di Storia contemporanea dell'Università di Siena, ha poi
trattato il tema “Profughi di Ieri e Oggi” parlando della conferenza di Evian, convocata
dal Presidente statunitense Roosevelt nel luglio 1938 e dove furono discussi i problemi
relativi al sostanzioso numero di rifugiati ebrei provenienti dalla Germania nazista.
Nonostante la retorica di superficiale compassione, nessuna nazione, ad eccezione della
piccola Repubblica Dominicana, si dichiarò disposta ad aprire le proprie porte ai rifugiati: è
immediato pensare alla situazione attuale, dove un'Europa divisa e litigiosa si è dimostrata
incapace di trovare un vero accordo e una vera soluzione sulle quote di profughi da
distribuire nel proprio territorio.
Simili storie, di fronte al rischio di impolverarsi impietosamente con lo scorrere del tempo,
si fanno vive e pulsanti quando raccontate da chi le ha vissute sulla propria pelle facendosi
poi “militante della memoria”. Questa felice espressione è stata coniata da Vera
Vigevani Jarach, testimone di più atrocità intervistata da Gad Lerner: emigrata nel 1939
in Argentina un anno dopo l'emanazione delle leggi razziali italiane, il 25 giugno 1976 sua
figlia diciottenne scomparve, divenendo una fra i circa 30'000 desaparecidos. La sorte ha
accomunato la giovane Franca Jarach al suo bisnonno, internato ad Auschwitz e di cui, a
sua volta, “non c'è tomba”. Vera ha quindi dedicato la propria vita affinché nessuno
dimentichi le vittime di un'insensata crudeltà umana, sia come testimone delle
discriminazioni ai danni degli ebrei, che come coraggiosa Madre de Plaza de Mayo: il suo
motto è infatti nunca màs el silencio, “mai più il silenzio”.
Marcello Martini, staffetta partigiana catturata all'età di 14 anni e deportata a Mathausen,
ha vissuto una drammatica marcia della morte di 240 km durante la quale poté mangiare
solo manciate d'erba. Nel corso di un anno di sevizie e soprusi, la sua identità venne
ridotta ad un numero: 76430. Avendo vissuto esperienze così traumatiche, una volta libero
Marcello ebbe grandi difficoltà ad integrarsi nuovamente nel clima di affetto familiare.
Vera Michelin Salomon, antifascista facente parte della Resistenza romana, fu arrestata
mentre distribuiva a studenti volantini contro l'occupazione tedesca. A suo avviso
infatti, frequentare le lezioni senza scioperare o manifestare il proprio dissenso avrebbe
dato l'impressione di una normalità fasulla, di un'accettazione passiva che avrebbe
legittimato il sistema vigente: per questo crimine, ella fu inviata al carcere nazista di
Aichach.
La storia forse più cruda, se è possibile fare distinzioni in un simile inferno, è quella di
Antonio Ceseri, sopravvissuto alla strage di italiani di Treuenbrietzen. Fatto prigioniero
a Venezia in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, si rifiutò di combattere per la
Repubblica Sociale Italiana e per due anni egli visse quindi una quotidianità fatta di turni
stremanti di 12 ore di lavoro. Il 21 aprile 1945 il campo fu liberato dall'Armata Rossa, ma
gli internati furono invitati a rimanere al suo interno per sfuggire ad eventuali rappresaglie.
Due giorni dopo, tuttavia, i tedeschi si riappropriarono di Treuenbrietzen ed optarono per
un'esecuzione sommaria dei prigionieri presso una cava di sabbia ad un'ora di cammino di
distanza. Quando questi iniziarono a sparare, Antonio e altri due suoi compagni vennero
coperti dai cadaveri, impossibilitati a respirare a causa del sangue e della terra nella loro
bocca. Dopo un'interminabile notte di immobilità e silenzio, i tre superstiti riuscirono a
fuggire nel bosco poco distante.
Kitty Braun Falaschi, nata a Fiume, per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti poté
contare sull'aiuto di un farmacista armeno, solidale di fronte a storie di persecuzione
perché testimone del genocidio del 1915. La sua famiglia visse quindi una vita
clandestina, finché una delazione non li condannò alla prigionia prima presso il campo di
Ravensbruck, poi di Bergen-Belsen.
Andra e Tatiana Bucci, di 4 e 6 anni al momento della deportazione ad Auschwitz,
vennero scambiate per gemelle dal dottor Mengele: si salvarono quindi da morte certa
venendo destinate al kinderblock in modo da essere studiate dal sadico scienziato.
Possiamo dire che, nonostante le atrocità delle quali entrambe sono state testimoni, la loro
storia possa vantare un lieto fine: al termine del conflitto le sorelline riuscirono a ritrovare
i propri genitori, sebbene nel frattempo avessero addirittura dimenticato l'italiano.
A queste drammatiche testimonianze è seguito il saluto di Bernard Dika, presidente del
Parlamento Regionale degli Studenti. Il ragazzo ha ricordato l'eccidio avvenuto nella
sua cittadina, Larciano, il 23 agosto 1944: profondamente commosso nel raccontare delle
190 vittime innocenti, egli ha poi parlato dell'importanza di porre fine ad ogni
discriminazione, ribadendo il proprio orgoglio per le sue origini albanesi.
I Giovani dell'Accademia del Maggio si sono poi esibiti con Kaddish di Maurice Ravel: le
note del pianoforte hanno accompagnato la recitazione della preghiera ebraica dallo
stesso nome. Piano piano, più e più ragazzi hanno iniziato ad accendere il flash del
proprio smartphone: al termine dell'esecuzione, il Forum era illuminato da piccole luci
danzanti, una grande costellazione commossa e partecipe.
Alle 12.45 è intervenuto Piero Terracina, sopravvissuto al campo di sterminio di
Auschwitz-Birkenau. Riconoscendo di essere stato testimone di un “inferno dei vivi”,
popolato da dèmoni-kapò e medici-Caronte intenti a traghettare immediatamente verso
la morte l'80% dei deportati, ha invitato i presenti a non dimenticare analoghe situazioni
succedutesi sotto gli occhi indifferenti del mondo cosiddetto “civile”: le pulizie etniche
nell'ex-Jugoslavia, il genocidio dei Tutsi rwandesi e dei Fur, Zaghawa e Masalit nel
Darfur.
Egli ha ricordato con grandissimo affetto la figura del preside della scuola media ebraica
da lui frequentata, Nicola Cimmino: non-ebreo, spronò i giovani affinché trovassero
nello studio il mezzo per provare il proprio valore, in modo che non fosse permesso ad
alcuno di affermare una loro presunta inferiorità.
La commemorazione si è chiusa con il suo invito ad opporsi al razzismo e all'indifferenza,
a ragionare con la propria testa e a non lasciare che il “me ne frego” tipicamente fascista
permetta una nuova escalation di violenza e orrore. Confrontandoci con atrocità così
insensate, siamo chiamati a riconoscere nell'uomo tendenze e istinti distruttivi che,
ad occhi innocenti, apparirebbero appannaggio di soli orchi fiabeschi e streghe
cattive: è necessario quindi imparare a riconoscere quelle avvisaglie e quei circoli viziosi i
quali, in situazioni di forte crisi ed aspri conflitti, possono portarci inconsapevolmente a
degenerazioni simili a quelle avvenute durante il Secondo conflitto mondiale."
Chiara Natali.