Giornata della memoria

Posted by on 31 Gennaio 2016

"Il Giorno della Memoria nasce dal desiderio di formare la  nostra coscienza storica, al

fine di combattere, quali cittadini attivi e responsabili,  la convinzione che basti un

asettico “mai più” ripetuto distrattamente per esorcizzare i fantasmi di un passato

inumano. Quest'anno, il titolo della commemorazione è stato “Voi che vivete sicuri.

Accoglienza e respingimenti ieri e oggi”: attraverso la trattazione di temi così attuali,

l'iniziativa ha mantenuto la promessa di essere un incontro che legge il passato, educa

il presente e coltiva il futuro.

I circa 8'000 studenti della Toscana che hanno riempito il Mandela Forum di Firenze

sono stati accolti dalla musica dell'Orchestra Multietnica di Arezzo mentre su uno

schermo venivano proiettate immagini di repertorio dell'inferno della Shoah,

giustapposte a scenari che purtroppo ben conosciamo: campi profughi, viaggi della

speranza su barconi e scene di ordinaria discriminazione.

Sono situazioni nelle quali viene negata l'umanità di milioni di individui, eletti a capri

espiatori e affossati dai peggiori pregiudizi. Simili immagini hanno acquistato una carica

emotiva ancora maggiore poiché  accompagnate dalla lettura della poesia Se Questo è

un Uomo di Primo Levi.

Ugo Caffaz, Direttore Generale della Direzione “Politiche formative Beni e Attività

Culturali” della Regione Toscana e, in questa veste, responsabile di tutte le iniziative del

Giorno della Memoria, ha così introdotto il fil rouge di riflessione fra 1945 e 2016: il tema

dell'indifferenza.

“I meccanismi che uniscono queste due tragedie umanitarie sono sempre gli stessi,

così come il poter credere che riguardino sempre gli altri”, ha affermato denunciando

la nascita della “nuova fossa comune del Mar Mediterraneo”.

Salutando i ragazzi, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha ricordato i 311 ebrei

deportati dalla sua città, di cui 27 bambini. A proposito della commemorazione, egli ha

affermato con forza che “non c'è umanità senza libertà e non c'è libertà senza memoria.”

Il suo entusiasmo è stato condiviso dalla Vicepresidente della Regione Monica Barni, il

cui monito è stato di “non imparare a convivere con l'orrore.”

Alle ore 9:30, giovani voci e pianoforte dell'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino

hanno eseguito delle arie tratte dall'opera L'Imperatore di Atlantide di Viktor Ullmann,

composta su libretto di Peter Kien nel 1943 nel campo di concentramento di Terezin: L'aria

della morte e L'aria del tamburo, attraverso le quali viene raccontata la spietatezza del

tiranno Overall, anglicismo per “über alles” ed evidente caricatura del Führer.

Giovanni Gozzini, docente di Storia contemporanea dell'Università di Siena, ha poi

trattato il tema “Profughi di Ieri e Oggi” parlando della conferenza di Evian, convocata

dal Presidente statunitense Roosevelt nel luglio 1938 e dove furono discussi i problemi

relativi al sostanzioso numero di rifugiati ebrei provenienti dalla Germania nazista.

Nonostante la retorica di superficiale compassione, nessuna nazione, ad eccezione della

piccola Repubblica Dominicana, si dichiarò disposta ad aprire le proprie porte ai rifugiati: è

immediato pensare alla situazione attuale, dove un'Europa divisa e litigiosa si è dimostrata

incapace di trovare un vero accordo e una vera soluzione sulle quote di profughi da

distribuire nel proprio territorio.

Simili storie, di fronte al rischio di impolverarsi impietosamente con lo scorrere del tempo,

si fanno vive e pulsanti quando raccontate da chi le ha vissute sulla propria pelle facendosi

poi “militante della memoria”. Questa felice espressione è stata coniata da Vera

Vigevani Jarach, testimone di più atrocità intervistata da Gad Lerner: emigrata nel 1939

in Argentina un anno dopo l'emanazione delle leggi razziali italiane, il 25 giugno 1976 sua

figlia diciottenne scomparve, divenendo una fra i circa 30'000 desaparecidos. La sorte ha

accomunato la giovane Franca Jarach al suo bisnonno, internato ad Auschwitz e di cui, a

sua volta, “non c'è tomba”. Vera ha quindi dedicato la propria vita affinché nessuno

dimentichi le vittime di un'insensata crudeltà umana, sia come testimone delle

discriminazioni ai danni degli ebrei, che come coraggiosa Madre de Plaza de Mayo: il suo

motto è infatti nunca màs el silencio, “mai più il silenzio”.

Marcello Martini, staffetta partigiana catturata all'età di 14 anni e deportata a Mathausen,

ha vissuto una drammatica marcia della morte di 240 km durante la quale poté mangiare

solo manciate d'erba. Nel corso di un anno di sevizie e soprusi, la sua identità venne

ridotta ad un numero: 76430. Avendo vissuto esperienze così traumatiche, una volta libero

Marcello ebbe grandi difficoltà ad integrarsi nuovamente nel clima di affetto familiare.

Vera Michelin Salomon, antifascista facente parte della Resistenza romana, fu arrestata

mentre distribuiva a studenti volantini contro l'occupazione tedesca. A suo avviso

infatti, frequentare le lezioni senza scioperare o manifestare il proprio dissenso avrebbe

dato l'impressione di una normalità fasulla, di un'accettazione passiva che avrebbe

legittimato il sistema vigente: per questo crimine, ella fu inviata al carcere nazista di

Aichach.  

La storia forse più cruda, se è possibile fare distinzioni in un simile inferno, è quella di

Antonio Ceseri, sopravvissuto alla strage di italiani di Treuenbrietzen. Fatto prigioniero

a Venezia in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, si rifiutò di combattere per la

Repubblica Sociale Italiana e per due anni egli visse quindi una quotidianità fatta di turni

stremanti di 12 ore di lavoro. Il 21 aprile 1945 il campo fu liberato dall'Armata Rossa, ma

gli internati furono invitati a rimanere al suo interno per sfuggire ad eventuali rappresaglie.

Due giorni dopo, tuttavia, i tedeschi si riappropriarono di Treuenbrietzen ed optarono per

un'esecuzione sommaria dei prigionieri presso una cava di sabbia ad un'ora di cammino di

distanza. Quando questi iniziarono a sparare, Antonio e altri due suoi compagni vennero

coperti dai cadaveri, impossibilitati a respirare a causa del sangue e della terra nella loro

bocca. Dopo un'interminabile notte di immobilità e silenzio, i tre superstiti riuscirono a

fuggire nel bosco poco distante.

Kitty Braun Falaschi, nata a Fiume, per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti poté

contare sull'aiuto di un farmacista armeno, solidale di fronte a storie di persecuzione

perché testimone del genocidio del 1915. La sua famiglia visse quindi una vita

clandestina, finché una delazione non li condannò alla prigionia prima presso il campo di

Ravensbruck, poi di Bergen-Belsen.

Andra e Tatiana Bucci, di 4 e 6 anni al momento della deportazione ad Auschwitz,

vennero scambiate per gemelle dal dottor Mengele: si salvarono quindi da morte certa

venendo destinate al kinderblock in modo da essere studiate dal sadico scienziato.

Possiamo dire che, nonostante le atrocità delle quali entrambe sono state testimoni, la loro

storia possa vantare un lieto fine: al termine del conflitto le sorelline riuscirono a ritrovare

i propri genitori, sebbene nel frattempo avessero addirittura dimenticato l'italiano.

A queste drammatiche testimonianze è seguito il saluto di Bernard Dika, presidente del

Parlamento Regionale degli Studenti. Il ragazzo ha ricordato l'eccidio avvenuto nella

sua cittadina, Larciano, il 23 agosto 1944: profondamente commosso nel raccontare delle

190 vittime innocenti, egli ha poi parlato dell'importanza di porre fine ad ogni

discriminazione, ribadendo il proprio orgoglio per le sue origini albanesi.

I Giovani dell'Accademia del Maggio si sono poi esibiti con Kaddish di Maurice Ravel: le

note del pianoforte hanno accompagnato la recitazione della preghiera ebraica dallo

stesso nome. Piano piano, più e più ragazzi hanno iniziato ad accendere il flash del

proprio smartphone: al termine dell'esecuzione, il Forum era illuminato da piccole luci

danzanti, una grande costellazione commossa e partecipe.

Alle 12.45 è intervenuto Piero Terracina, sopravvissuto al campo di sterminio di

Auschwitz-Birkenau. Riconoscendo di essere stato testimone di un “inferno dei vivi”,

popolato da dèmoni-kapò e medici-Caronte intenti a traghettare immediatamente verso

la morte l'80% dei deportati, ha invitato i presenti a non dimenticare analoghe situazioni

succedutesi sotto gli occhi indifferenti del mondo cosiddetto “civile”: le pulizie etniche

nell'ex-Jugoslavia, il genocidio dei Tutsi rwandesi e dei Fur, Zaghawa e Masalit nel

Darfur.

Egli ha ricordato con grandissimo affetto la figura del preside della scuola media ebraica

da lui frequentata, Nicola Cimmino: non-ebreo, spronò i giovani affinché trovassero

nello studio il mezzo per provare il proprio valore, in modo che non fosse permesso ad

alcuno di affermare una loro presunta inferiorità.

La commemorazione si è chiusa con il suo invito ad opporsi al razzismo e all'indifferenza,

a ragionare con la propria testa e a non lasciare che il “me ne frego” tipicamente fascista

permetta una nuova escalation di violenza e orrore. Confrontandoci con atrocità così

insensate, siamo chiamati a riconoscere nell'uomo tendenze e istinti distruttivi che,

ad occhi innocenti, apparirebbero appannaggio di soli orchi fiabeschi e streghe

cattive: è necessario quindi imparare a riconoscere quelle avvisaglie e quei circoli viziosi i

quali, in situazioni di forte crisi ed aspri conflitti, possono portarci inconsapevolmente a

degenerazioni simili a quelle avvenute durante il Secondo conflitto mondiale."

Chiara Natali.

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